Non appartengono a nessun ordine religioso e agiscono nel rispetto di Madre Terra, osservandone le fasi lunari e stagionali. Sono le Sorelle della Valle, una comune di suore che vivono e operano nella città californiana di Merced. Indipendenti, dal 2016 sono considerate alla stregua di criminali: il motivo? Producono cannabis che usano a scopo medicinale o estetico, realizzando prodotti che vendono on line.
Arriva anche in Italia nelle sale virtuali (su Io Resto in Sala e Wanted Zone), e giusto in tempo per celebrare il ‘4/20’, ovvero il ‘Giorno della cannabis’, il documentario – tradotto in italiano – ‘Le sorelle di Marija’, produzione indipendente opera del regista britannico Rob Ryan.
Il film ricostruisce la storia delle ‘Sisters of the Valley’, congrega femminile e femminista new age fondata da una ex donna di affari ‘convertitasi’ dopo una profonda crisi personale, la cui missione è aiutare le persone che soffrono attraverso olii, capsule, tinture a base di Cannabinolo.
La loro vera religione è alleviare le sofferenze di malati gravi, dal cancro all’epilessia, curare attacchi di panico, emicranie e altri dolori e aiutare le persone dipendenti da alcol e droghe.
Nata e cresciuta nel Wisconsin, la ‘sister’ Christine Meeusen è stata moglie e madre di famiglia perfetta ma, dopo 17 anni di matrimonio, in seguito alla scoperta dei numerosi tradimenti da parte del marito, Kate ha deciso di ricominciare da capo in California. Qui, dove l’uso terapeutico della cannabis è consentito e regolamentato dal 1996, ha fondato la sua congrega ‘new age’ e non-profit dedicata ad alleviare le sofferenze dei malati. Che non ha mancato si suscitare polemiche e che ha dovuto combattere ferocemente non solo contro i numerosi tentativi di furto nella piantagione, ma anche contro il locale sceriffo che, spalleggiato da altri abitanti della zona contrari all’uso terapeutico della Cannabis, non ha esitato a usare anche le maniere forti contro le sorelle per scoraggiare dal proseguire nella loro impresa.
Un film da non perdere per ampliare la propria cultura cannabica.
Articolo originale su BeLeaf Magazine