Cannabis Depressione: nella giornata mondiale della salute mentale, pubblichiamo questo articolo a cura della dottoressa Stefania Fossati, direttrice sanitaria di Clinn, che esplora il disturbo depressivo e i benefici della cannabis.
Stando a quanto riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il peso globale dei disturbi mentali continua a crescere con un conseguente impatto sulla salute e sui principali aspetti sociali, umani ed economici in tutti i Paesi del mondo. Tali tipologie di disturbo si presentano in tutte le classi d’età e, come anticipato, sono sempre più associati a difficoltà nel normale svolgimento delle attività quotidiane, nel lavoro e nei rapporti interpersonali e familiari.
Inoltre, in tale contesto, è necessario tenere in considerazione gli elevati costi sociali ed economici per le persone colpite e per le loro famiglie che, ancora troppo spesso, non trovano da parte del SSN adeguate risposte alle esigenze del paziente.
La crescente consapevolezza dell’aumento della sofferenza e del carico di malattia che circonda i disturbi mentali ha reso necessarie azioni di prevenzione oltre che di cura di queste patologie. L’Oms sottolinea, infatti, come la prevenzione e la promozione della salute mentale siano basate sulla consapevolezza e sulla comprensione dei segni premonitori e dei sintomi del disturbo mentale.
Osservando lo scenario da un punto di vista epidemiologico, l’OMS stima che i disturbi depressivi colpiscano oltre 300 milioni di persone nel mondo e che, tra questi, la depressione, rappresenti il 4,3% del carico globale di malattia andando dunque a costituire una delle principali cause di disabilità a livello mondiale (circa l’11% degli anni di vita vissuti con una disabilità nel mondo intero).
Analizzando la situazione in Italia, secondo i dati più recenti disponibili circa 2,8 milioni di persone (5,6% della popolazione di età >15 anni), presenta sintomi depressivi, delle quali quali 1,3 milioni con sintomi del disturbo depressivo maggiore, tuttavia le diagnosi per questa patologia rimangono ancora sottostimate.
Tale tipologia di disagio si distribuisce con una certa eterogeneità nelle varie fasce di età; tuttavia, è possibile affermare che l’incidenza tende ad aumentare con l’età essendo il 2,2% nella fascia di età 15-44 anni e raggiungendo il 19,5% tra gli ultra 75enni; ad essere più colpito è tendenzialmente genere femminile: tendenza che trova particolare conferma tra le over 75, dove quasi una donna su quattro soffre di sintomi depressivi (23,0%) a fronte del 14,2% negli gli uomini.
A livello geografico, è interessante notare come la manifestazione dei disturbi depressivi sia più frequentemente riscontrata tra i residenti nelle regioni centrali e meridionali, e come l’insorgenza di questi trovi correlazione con un basso livello di istruzione e con una difficile condizione socio economica.
I divari territoriali osservati permangono anche a parità di livello di istruzione e condizione economica, a conferma dello svantaggio delle regioni del Centro-Sud ed Isole rispetto alle aree del Nord. Il 25,4% delle persone adulte con depressione e ansia soffre di limitazioni importanti nello svolgimento delle attività quotidiane. I disturbi che impattano di più sono il calo di concentrazione (57,4%) e la minore resa (57,7%).
Le molecole via via introdotte come farmaci antidepressivi, che ad oggi rappresentano lo standard of care, hanno condotto ad un miglioramento della prognosi della malattia e di conseguenza della qualità della vita dei pazienti, ma esiste un 26% di soggetti “resistenti al trattamento”.
Si parla di depressione resistente quando falliscono le prime due linee di trattamento in cui sono stati utilizzati farmaci antidepressivi in adeguato dosaggio e per congruo tempo. È stato recentemente svolto uno studio epidemiologico italiano (in fase di pubblicazione) con l’obiettivo di condurre un’analisi della farmaco utilizzazione e del consumo di risorse sanitarie nei pazienti con Treatment-Resistant Depression (TRD). Dall’analisi è risultata una popolazione di pazienti con TRD pari a 101.000, un’ampia rappresentazione di un bisogno ancora insoddisfatto in considerazione delle conseguenze individuali e sociali associate a una patologia non controllabile con le misure farmacologiche attualmente disponibili. I pazienti con TRD rappresentano un bisogno clinico particolarmente urgente, anche alla luce dell’elevato rischio di suicidio: fino a 7 volte superiore rispetto ai pazienti che soffrono di depressione maggiore. Un altro aspetto importante per cui di frequente i pazienti si rivolgono al nostro centro è che oltre ad un’efficacia variabile dei farmaci tradizionali, spesso subottimale, si associano effetti collaterali importanti, ritenuti dal paziente invalidanti e non tollerabili.
Per questo tipo di disturbi dell’area psichica, intensi come ansia e deflessione del tono dell’umore sino alla depressione maggiore, la cannabis medicale può essere particolarmente utile. I pazienti possono trovare beneficio con preparati a base di THC, che agisce sulla tensione emotiva e lo stato di agitazione, spesso abbinato al CBD per tenere a freno un rischio di eccessiva attivazione nel paziente già ansioso. A questo proposito, nella mia esperienza professionale, trovo appropriato l’utilizzo di una varietà di cannabis (indica) con contenuto intermedio di THC (14%), che agendo in sinergia con il profilo terpenico è in grado di apportare benefici significativi ai pazienti. Inoltre, di volta in volta, è possibile valutare l’aggiunta anche di CBD a seconda della problematica prevalente da trattare.
Per quanto concerne la depressione anche in questo caso l’effetto “attivante” del THC che lavora al tempo stesso sull’ansia, può determinare grande beneficio.
In conclusione la varietà di Cannabis utilizzata, un eventuale mix, nonché i dosaggi devono essere valutati caso per caso, in generale però i risultati più significativi si ottengono sul disturbo d’ansia e sull’insonnia.
Dottoressa Stefania Fossati – Direttrice sanitaria di Clinn
Articolo originale su Dolce Vita Online