Qualche settimana fa è stato licenziato il rapporto della Direzione Investigativa Antimafia, relativo al primo semestre 2020, che fotografa qual è la situazione relativa ai crimini portati avanti dalle organizzazioni mafiose e fornisce informazioni rispetto ad alcuni casi specifici consultabili all’interno della relazione stessa. La crisi attuale, così come tutte le crisi economiche, lascia ampio raggio d’azione alla criminalità organizzata: ricomincia il controllo del territorio (l’episodio dello Zen di Palermo durante il primo lockdown è emblematico), si individuano le piccole-medie imprese in difficoltà economica e si instaura un vero e proprio welfare mafioso di prossimità.
Oggi emerge dalla relazione ma anche dalla cronaca di questi mesi come la capacità di infiltrazione delle mafie nell’economia legale sia il primo punto da monitorare, nel tentativo di prevenire due azioni: la rilevazione delle imprese in difficoltà finanziaria, e il drenaggio delle risorse che verranno stanziate per il rilancio del Paese; l’ultima relazione segnala inoltre come la capacità di infiltrazione all’interno della pubblica amministrazione è nell’ultimo anno aumentata. Insomma, vediamo come i meccanismi mafiosi riescano sempre ad essere più veloci rispetto all’apparato pachidermico dello Stato, relegando il nostro paese ad essere uno dei peggiori Paesi dell’Unione Europea secondo L’Indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International.
In questo movimento invisibile, è stato segnalato dalla relazione come alcune attività illecite durante il primo lockdown abbiano comunque avuto una diminuzione: molte, tranne il traffico e la produzione di sostanze stupefacenti, che ha subito un aumento rispetto allo stesso periodo del 2019. L’ammissione arrivò già a fine Marzo da parte del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che all’interno di un’intervista a Radio24 sostenne che “ad alto livello le mafie continuano a muoversi sui porti della fascia tirrenica, tonnellate di cocaina continuano ad arrivare e vengono immesse sul mercato: i traffici di droga non conoscono la crisi”.
Se andiamo a vedere alcuni casi particolari, vediamo infatti come nel primo semestre del 2020 al porto di Gioia Tauro risulta il sequestro complessivo di oltre 2 mila e 600 chili di cocaina, un importo maggiore rispetto allo stesso periodo 2019.
Sempre a Gioia Tauro a Novembre 2020 sono stati sequestrati 932 chili di cocaina purissima, trovata in un container in mezzo alle cozze provenienti dal Cile; il porto calabrese è certamente uno dei più famosi, ma non è il solo, e i trafficanti oltre all’utilizzo strategico della costa ionica, si affacciano verso l’adriatico alimentando numerosi scambi con le consorterie albanesi, oggi canale di rifornimento in particolare per marijuana, eroina e droghe sintetiche.
Ma i rapporti delle cosche mafiose come sappiamo sono più estesi, e arrivano alla contrattazione con le più grandi organizzazioni del mondo coinvolte nella produzione e nel traffico di droghe: i gruppi dissidenti delle FARC, l’E.L.N., le Ba.Crim. fino ad arrivare alla più importante banda criminale odierna, quella del Clan Usuga, composto per il 70% dei paramilitari presenti in Colombia.
La vocazione transnazionale dei gruppi insieme alla varietà delle attività ormai messe in campo dalle cosche mafiose ci continua a far riflettere: perché in questo contesto le forze dell’ordine vengono usate per reprimere chi fa uso di sostanze, ed in particolare cannabis? Perché oggi, vista la mancanza di una legge, la cannabis fa ancora fatica ad essere riconosciuta integralmente come una droga leggera, vista la timidezza dei nostri politici, che posticipano solo l’inevitabile affermazione della ragione e della scienza in merito?
I proventi che derivano dal traffico di sostanze vengono reinvestiti nell’economia legale con grave danno per gli imprenditori italiani, e se vista la complessità dell’architettura globale relativa a questo fenomeno è difficile dare delle soluzioni ad oggi assolute, ciò che possiamo dire per iniziare il cammino verso la legalità è: ma se oggi il tempo usato per portare davanti ad un tribunale malati e consumatori che usano cannabis, lo si usasse per evitare le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione o lo scambio di consenso elettorale, fattore da non ignorare quando si parla di interessi economici, anche relativi alla cannabis.
Riprendendo Robert Nozick in Anarchia, Stato e Utopia: “Dove c’è una domanda deve esserci un mercato legale”.
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