In Italia da ormai 15 anni i medici possono prescrivere preparazioni galeniche contenenti sostanze attive a base di cannabis per uso medico. Bedrocan, Bediol, Bedrobinol, Bedrolite, Bedica e Sativex possono essere importate e possiamo anche produrne un tipo ‘nostrano’ nello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Ma non basta. Lo sappiamo perché ogni giorno un paziente si lamenta di non poter continuare le proprie cure, perfettamente legali.
Lo sappiamo perché, come Walter De Benedetto, alcuni di essi sono costretti a coltivarla da soli in casa per poter sopperire a quella mancanza che li costringe ad un vita piena di dolori. Perché la cannabis non è un vezzo ma un medicinale che serve a vivere meglio. Una situazione già grave che si è aggravata con la pandemia, che ha dovuto trascurare i malati non Covid.
Sappiamo che sarà difficile che riescano a non deluderci, ancora. Ma è il nostro dovere sperarci. O almeno appellarci a loro affinché studino, s’informino, superino i pregiudizi e legiferino a favore di quello che è ormai riconosciuto anche dall’Oms. Perché la cannabis non è una droga.
Chiediamo quindi ai Ministri Speranza e Stefani – la neo ministra per la disabilità, un ministero che non ci piace ma, visto che ormai c’è, diamogli almeno un senso – di collaborare fra loro e con le Associazioni di pazienti e coltivatori.
Non importa che il ministero della disabilità non abbia portafoglio, e quindi risorse, può incidere comunque, se vuole, sulla vita delle persone disabili e dei loro familiari. Come? Prima di tutto garantendo la ‘continuità terapeutica’ per i pazienti che hanno disabilità accertate e permanenti. Sapere che pazienti con sclerosi multipla, con artride reumatoide o atassia e così via, possano contare sul piano terapeutico che un medico gli ha legalmente descritto, facilita la vita di chi convive col dolore cronico ma anche di chi si prende cura di loro.
Al ministro Speranza, invece, non possiamo che ribadire quanto chiesto in questi mesi. Ci rendiamo conto che la situazione mondiale attribuisce delle priorità ma per cambiare nel nostro Paese non serve poi tanto. Serve prendere una posizione.
Non ci sono discussioni parlamentai ma decreti attuativi da fare, in attesa, ovviamente di una riforma necessaria e strutturale. Facciamo nostri i punti che sono stati già oggetto di protesta delle maggiori associazioni competenti sulla materia: cancellazione della circolare ministeriale del 26 settembre; ritiro definitivo del decreto sul CBD; aumento della produzione nazionale di cannabis con apertura a partnership pubblico-privato senza pregiudizio a imprese private; liberalizzazione dell’importazione per sopperire al fabbisogno nazionale; finanziamento della formazione del personale socio-sanitario e campagne informative per il pubblico; allargamento delle patologie e garanzia della rimborsabilità dei prodotti; investimenti in ricerca sulla pianta e avvio di sperimentazioni cliniche innovative.
E’ una battaglia di civiltà, posiamo combatterla insieme?
Aricolo originale su BeLeaf Magazine