Le proprietà nutrizionali del seme di Canapa sono state ampiamente riscoperte in questi ultimi anni e si può dire che il suo alto valore alimentare è riconosciuto in tutto il mondo. Ad esempio, in Cina la Canapa non ha mai smesso di essere coltivata a scopo alimentare e per questo nel tempo si sono sviluppate varietà più adatte a produrre semi grandi e ricchi di olio, inoltre tutta la filiera della trasformazione si è mantenuta vitale e la rete aziendale che ne permette la lavorazione e il commercio è più viva che mai.
In Italia e in altri paesi per molti anni è successo l’esatto contrario cosi si sono persi quasi completamente molti dei “Cultivar” locali, cioè le varietà autoctone acclimatate a determinati territori, sviluppate nei secoli passati da generazioni di contadini, capaci di adattarsi a specifici terreni e microclimi, resistenti agli attacchi di patogeni e muffe. Oltre a questo patrimonio genetico e di biodiversità è andata perduta anche la capacità di progettare e costruire macchine adatte a raccogliere e lavorare il prezioso seme così che oggi, malgrado la grande attenzione generale e alla rivalutazione della Canapa in molti suoi aspetti, l’Italia non è in grado di sopperire alla domanda interna e spesso si trovano semi, anche a prezzi incredibilmente bassi in molte catene di supermercati, che non sono prodotti in Italia e nemmeno in Europa.
Per la maggior parte questi semi, interi, decorticati, sotto forma di farina o olio, provengono appunto dalla Cina o nella migliore delle ipotesi dal Canada. Non vorrei passare da protezionista ma mi chiedo se gli standard di produzione e di controllo cinesi si possano equiparare a quelli europei, in particolare su prodotti venduti come “biologici”. Non sono mai stato in un campo di Canapa biologica cinese ma ho comunque diversi dubbi sul fatto che vengano applicate le stesse normative di controllo. Siamo di fatto agli albori del rinascimento della canapicoltura in Italia ed Europa, perciò tutto deve essere rimesso in discussione e la ricerca agroalimentare farà i suoi passi avanti, ora che il mercato è aperto e ricettivo. Una parte del discorso ancora tutta da sviluppare è proprio la selezione di varietà più adatte al consumo alimentare. Come operatore del settore, da diversi anni valuto le qualità organolettiche dei prodotti di prima trasformazione a partire dal seme di Canapa : farina, olio e lo stesso seme che sia intero o decorticato, e posso affermare che variano di parecchio da una varietà all’altra di Canapa industriale.
Perciò cosi come per l’olio di oliva, il vino e altri prodotti, anche per la Canapa ci sono varietà più adatte ad essere consumate perché migliori a livello organolettico e nutrizionale rispetto ad altre che magari conferiscono gusti poco piacevoli o che producono semi con basse qualità nutritive. Un altro capitolo ancora poco esplorato è la conservazione. Purtroppo mi capita di testare farine e olio di semi di Canapa prodotti con semi conservati male, esposti alla luce diretta e al caldo per lungo tempo che se utilizzati in cucina non aiutano a creare piatti appetitosi, bensì alimenti con valori nutrizionali bassi o inesistenti e sapore sgradevole.
Vengono spesso tralasciate le più comuni norme di conservazione solo perché spesso chi produce,e anche chi commercia, ancora non conosce la particolare delicatezza del seme di Canapa che, per via dell’alto contenuto di grassi polinsaturi, tende ad irrancidire facilmente se non conservato al riparo da luce, aria e calore. Questa delicatezza è ancora più marcata nel seme decorticato, nell’olio e nella farina per il fatto che il tegumento, cioè il guscio, non è più integro e quindi non in grado di proteggere naturalmente il suo contenuto.
Notizia originale su MJ Passion Magazine