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Le donne della canapa: la storia di Chiara

Grazie a Canapa Sativa Italia abbiamo deciso di intraprendere un viaggio tra le imprenditrici femminili che operano nel settore della canapa in Italia. Un mondo con tradizioni antiche ma anche tanta innovazione. 

Ci vuole coraggio per orientarsi tra la burocrazia e leggi ma il futuro è green e… pink!

Vi presentiamo Chiara Lo Cascio, 35 anni di Roma. E’ una piccola imprenditrice con un suo negozio nel centro di Roma e una piccola coltivatrice di canapa.

Le sue competenze spaziano dalla comunicazione al marketing, passando per il business, start-up, genetica dei semi, coltivazione e legislazione.

Chiara è Membro del Comitato Comunicazione di Canapa Sativa Italia (CSI) e  coordinatrice di tavoli a 420 HempFest Milano  (2019)

Ho studiato economia aziendale e management dell’innovazione. Ho cominciato a lavorare nel settore delle start-up creando e gestendo un incubatore per start-up digitali, i-lab LUISS  (2013-15). Poi ho iniziato a occuparmi di marketing online, consulenza d’impresa docenze varie.  

Nel 2016 con alcuni soci abbiamo lanciato un’app salvadanaio, una startup che aiutava giovani e meno giovani a mettere i soldi da parte per un viaggio o per una macchina fotografica. Aiutava  anche noi stessi a mettere da parte un po’ di soldini e in generale voleva educare fin da giovani a  mettere da parte anziché pagare a rate, fare finanziamenti, indebitarsi. Inizialmente ha anche funzionato, è stata selezionata nel 2017 da Startupbootcamp Fintech per il programma di accelera zione ad Amsterdam. Intanto io sempre nel 2017 vedevo nascere molti negozi e dovevo decidere  in fretta se andare ad Amsterdam con gli altri soci o abbandonare l’app per occuparmi di canapa  in Italia. 

Nel 2018, anche un po’ stanca dell’innovazione prettamente digitale, apro un hemp-shop nella  capitale, a San Lorenzo, dove vivo: Zia Maria. Ho solo due dipendenti part-time, sono piccina,  ma felice di fare impresa grazie a una pianta dalle mille opportunità. Vivo un poco di innovazione  anche oggi, ma di stampo diverso: ha a che fare con la natura, con le piante, con l’economia rea le. Ho scelto di provare a investire in me stessa e in quella che credo essere tutt’ora, nonostante  le mille difficoltà, una grande opportunità per il nostro paese: la canapa. 

Mi sono iscritta di nuovo all’università: frequento la triennale di scienze farmaceutiche applicate  per diventare erborista. Il mio sogno è creare e vendere prodotti innovativi, a partire dalle piante –  non so se mai ci riuscirò, ma intanto la strada l’ho intrapresa. Bisogna essere preparati per colti vare, ancor più forse per trasformare e vendere la canapa. Non solo per sentirsi inattaccabili nella  giungla normativa che subiamo come nessun altro settore in questo paese, ma per essere all’altezza delle domande dei clienti. I fiori rappresentano per quasi tutti i negozi la maggior parte del  fatturato. Il fiore di canapa, praticamente privo di principio attivo stupefacente, ma dalle interessanti qualità fisiologiche, in Italia non è normato per il consumo umano a differenza di tanti altri  paesi anche europei che lo classificano come alimento o integratore alimentare (tisana) o al limite  come “novel food” (nel caso di cibi con aggiunta di cbd). 

I miei clienti tipo? 

Sin dall’apertura l’età media dei miei clienti è over 30, ma ho anche tanti clienti over 50 e 60. Faccio le spedizioni ad alcuni affezionati che si sono trasferiti in un’altra regione e a volte fanno il passaparola. In negozio ho anche la cosmetica bio e cruelty free a base di olio di canapa e altre  piante, i superfood e gli integratori alimentari vegetali, accessori e merchandising. Con il Covid mi  è parso che l’attenzione alla natura, la voglia di tornare agli spazi aperti e alla terra, la voglia di  farsi l’orto anche solo in balcone sia esplosa. Ho aggiunto quindi tutta la parte grow e giardinag gio, per esempio ho i terricci specifici per i vari i tipi i piante: grasse, orchidee, orto, acidofile,  agrumi eccetera. Oltre che naturalmente anche fertilizzanti e ammendanti organici e minerali.

Come mi promuovo? E’ difficile nel mio settore, non si possono fare pubblicità a pagamento su google e sui social. A dire il vero non ho nemmeno ancora il mio sito – un po’ di ansia da prestazione venendo dal mondo delle startup. A parte gli scherzi le vendite sono buone: uso instagram  senza fare ads a pagamento, c’è sempre il passaparola e mi promuovo magari moderando alcune  iniziative come il 420 HempFest di Milano nel 2019 o alcuni incontri online. 

Come va da coltivatrice?

Il primo anno è stato davvero duro, non abbiamo inserito auto mazioni di alcun tipo, non conoscevamo ancora il luogo e l’impianto. Abbiamo coltivato in vaso,  non avevamo ancora fatto le analisi del terreno. Quest’anno le stiamo facendo proprio in questi giorni, ma abbiamo già visto che ci sono tanti lombrichi a soli 20cm di profondità – a occhio sembra essere un ottimo terreno vivo! Mi divido con un’altra azienda una serra di cui ho solo il 25%,  ma il mio sogno è mettere a punto un piccolo laboratorio per la prima trasformazione e la coltiva zione indoor in ambiente protetto, magari non occupandomi solo di canapa, ma anche di aromatiche e officinali. 

Come vedi il futuro degli agricoltori e commercianti di canapa? 

Il mercato della canapa industriale oggi in Italia è più efficiente: si stanno riducendo i distributori,  la filiera si accorcia, ci sono sempre meno passaggi dalla produzione al cliente. From Farm to Fork è uno dei titoli della nuova strategia europea, speriamo di rientrarci prima o poi. ll mercato potrà  finalmente mostrare le sue potenzialità quando in Italia il fiore sarà normato anche per uso umano.  Non essendolo, non sono ancora arrivati i grandi colossi che sono presenti altrove – però dobbiamo essere coscienti che ci saranno. Arriveranno anche investimenti italiani ed esteri. I piccoli imprenditori come me potranno restare in vita se sapranno offrire qualità, magari innovare. Se avranno la possibilità di una filiera corta, quindi della vendita diretta o con pochi passaggi, come per esempio già accade con le piccole cantine italiane d’eccellenza. 

Conosco CSI dagli albori, devo al gruppo Facebook “Canapa Sativa Italia” tutte le nozioni e le  basi iniziali necessarie per avviare l’attività. Mi sono resa conto che anziché destinare tempo alla  botanica, dovevo studiare molto molto bene la legge! CSI mi ha dato tante informazioni preziose  di cui avevo bisogno oltre che darmi un luogo dove informarmi su ciò che accadeva alla canapa e  alla cannabis nel resto del mondo. Mi sono resa conto col tempo che è fondamentale partecipare  ad un’associazione di settore, soprattutto se lavori in un settore giovane e incerto come il nostro: non solo per informarti ma per difenderti dai preconcetti e quindi particolari interpretazioni della  legge. Conoscevo alcuni dei soci di CSI anche di persona, ma siamo tutti sparsi per l’Italia. Ultimamente ci siam sempre più integrati e oggi mi occupo pro-bono della Comunicazione dell’Associazione. Tanti anni di esperienza sono stati premiati: CSI è stata eletta a partecipare, ed è un riconoscimento importante, al tavolo tecnico del MIPAAF sulla filiera canapa. 

Rivestendo di nuovo i panni della piccola imprenditrice: la durata del tavolo è triennale, ma  agricoltori e negozianti hanno necessità di certezza normativa oggi, si tratta di aziende che hanno  già investito, anche aziende familiari che dopo la legge 242 del 2016 hanno scommesso su que sta pianta. Mentre ormai in moltissime parti del mondo si sta normando la cannabis ad alto tenore  di THC, in Italia si fa ancora la guerra a malati come Walter de Benedetto o al fiore di canapa che  praticamente non ha principio attivo. In Sardegna è stata diramata una circolare molto restrittiva e  a parere di CSI non legittima. 

Bisogna capire che al di là della politica, parliamo di scienza e di lavoro: si tratta di un settore che  in Italia si è creato praticamente da solo, che non chiede aiuti economici, solo certezza normativa.  Parliamo di tanti giovani, un comparto con un’età media molto bassa. Con l’avvento della legge 242 del 2016 e grazie al mercato con le sue richieste, negli ultimi 4,5 anni gli operatori hanno acquisito tanto know-how. Siamo italiani, ci piace scoprire, inventare, innovare. E ci piace fare le  cose bene, soprattutto se siamo piccoli, come una piccola cantina di vino pregiato. Il famoso  Made in Italy il simbolo della qualità: la produzione italiana avrebbe tanto da offrire, potrebbe es sere un’eccellenza da esportare all’estero se meglio normata. 

Articolo originale su BeLeaf Magazine

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